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martedì 17 maggio 2011

Il Giorno - Sesto Cinisello - La medicina "senza sangue" salva un Testimone di Geova

Il Giorno - Sesto Cinisello - La medicina "senza sangue" salva un Testimone di Geova

La medicina "senza sangue"
salva un Testimone di Geova

Il Bassini è uno dei tre ospedali in Italia in cui si pratica la tecnica sperimentale "a vene aperte", che consente di eseguire operazioni chirurgiche senza trasfusioni. Così si è salvato un Testimone di Geova
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intervento chirurgico (Digitalfoto)
intervento chirurgico (Digitalfoto)
Cinisello Balsamo, 17 maggio 2011 - La comunità milanese dei Testimoni di Geova grida al miracolo o quasi. Il professor Guido Raffaele Strada, tiene più i piedi per terra e premia con soddisfazione il lavoro di squadra della sua équipe. Quel che è certo è che nei giorni scorsi nelle sale operatorie dell’ospedale Bassini di Cinisello si è compiuto un piccolo capolavoro della chirurgia.
L’équipe di Guido Raffaele Strada, primario cinisellese dell’Unità operativa di Urologia, è intervenuto su Michele Feraru, un paziente di 58 anni di origine romena, con gravi problemi ai reni e alla vena cava, realizzando un’operazione chirurgica «a vene aperte», senza prevedere cioé alcuna trasfusione sanguigna.
Tecnicamente l’intervento ha un nome quasi impronunciabile: nefrectomia radicale, linfoadenectomia retroperitoniale, trombectomia cavale fino a vene sottoepatiche. In pratica si è intervenuto per eliminare una massa tra i reni e la vena cava e per eseguire una pulizia della stessa vena ostruita.
Un’operazione delicata, che in un paziente normale sarebbe stata quasi di routine, ma che in questo caso è diventata di assoluta eccellenza, perché il paziente è un Testimone di Geova e come tale non avrebbe acconsentito ad alcuna trasfusione. I medici del Bassini lo hanno preso in carico con largo anticipo sui tempi dell’intervento, predisponendo un percorso ad hoc che solamente in pochissime strutture sanitarie italiane viene messo in atto.
L’ospedale Bassini è da circa 6 anni uno dei 3 ospedali italiani «senza sangue», ossia in grado di eseguire operazioni chirurgiche che evitino le trasfusioni. «Non ci si inventa nulla — spiega il professor Strada —. L’ospedale Bassini è forse l’unico in Italia che ha stilato uno speciale protocollo dedicato alla chirurgia senza sangue. Sono descritti i passi da compiere prima di intervenire e durante le operazioni. Nulla è lasciato al caso. Il paziente viene sottoposto a una serie di terapie preventive che servono a condurlo al giorno dell’operazione nelle condizioni fisiche ottimali e con sangue molto ricco di globuli rossi».
Alla fine dell’operazione, il paziente 58enne, aveva perso solamente 250 centilitri di sangue, poco di più di un normale prelievo. In sala operatoria, insieme al professor Strada erano presenti Paolo Vigano, Luigi Erba, l’anestesista Paolo Malsano e i suoi collaboratori.
«L’ospedale Bassini ha il merito assoluto di aver creduto in questa speciale chirurgia e di aver stilato un protocollo unico e inedito in Italia — conferma Carlo Benincasa, responsabile regionale per i temi sanitari dei Testimoni di Geova —. Tuttavia al primo posto c’è la preparazione dei medici. Perché non tutti i medici sarebbero disponibili a mettersi in gioco su interventi così delicati. Al Bassini tutti gli operatori sanitari sono informati e praticano con assoluta sicurezza questo tipo di interventi».

venerdì 13 maggio 2011

Due testimoni di Geova risarcite per le trasfusioni- LASTAMPA.it

Due testimoni di Geova risarcite per le trasfusioni- LASTAMPA.it

Due testimoni di Geova
risarcite per le trasfusioni

L'esterno di Villa Maria Pia

Riconosciuto per la prima volta
il mancato rispetto delle scelte religiose

Deve riconoscersi il danno non patrimoniale consistente nelle ripercussioni che il non voluto trattamento sanitario ha prodotto nella sfera personale, nella vita sociale e familiare, nella coscienza religliosa delle signore». Due testimoni di Geova si sottoposero ad intervento di isterectomia alla clinica Villa Maria Pia perché là operava il dottor Salvatore Martelli, segnalato dal Comitato di assistenza sanitaria dei Testimoni di Geova «quale medico rispettoso delle loro scelte religiose». Entrambe le donne espressero chiaramente la volontà di non essere sottoposte a trasfusioni di sangue, il dottore le rassicurò. Poi le cose andarono diversamente. Dopo la prima operazione, si ricorse ad una seconda per entrambe - le pazienti erano in pericolo di vita - e vennero trattate con ripetute emotrasfusioni. Il giudice civile Marco Ciccarelli ha condannato medico e casa di cura, chiamando in cause le rispettive assicurazioni, a pagar loro rispettivamente 36.870 e 38.960 euro. L’avvocato Renato Mattarelli, legale delle pazienti: «E’ la prima volta che in Italia si riconosce il danno per il mancato rispetto della libertà religiosa oltre che sanitaria».

Il caso - del gennaio 2005 - è complicato non solo perché investe principi oggi oggetto di furibonde dispute ideologiche: le due testimoni di Geova scelgono quel medico e quella casa di cura perché si sentono rassicurate, l’intervento di rimozione parziale e totale (per una delle due) dell’utero è tutt’altro che semplice, lo era ancora meno per quelle pazienti con «un’accentuata anemia evidenziata dalle analisi eseguite il giorno del ricovero». Il dottor Martelli non avrebbe dovuto escludere il ricorso a trasfusioni di sangue.

Il giudice evidenzia gravi negligenze commesse ai danni delle pazienti durante la prima operazione e dopo di fronte a «complicanze, manifestatesi in entrambe il mattino successivo». A seguito delle quali, vennero sottoposte a operazione di «revisione chirurgica» e a «emotrasfusioni clandestine», registra il magistrato. Mentre le signore, poco prima, pur coscienti di trovarsi in pericolo di vita, avevano ribadito il loro rifiuto. Il dottor Ciccarelli prende atto che c’era stato un accordo e che fu disatteso. E va oltre: «L’astratta esistenza di un diritto a rifiutare le cure è del tutto pacifica, trattandosi di un diritto costituzionalmente riconosciuto.... Ritiene questo giudice che non possano sussistere seri dubbi sul fatto che, al momento in cui vennero trasfuse, le signore non intendevano sottoporsi a un simile trattamento».

Medico e casa di cura hanno invocato lo stato di necessità (ricordano la telefonata ad un pm per essere autorizzati al trattamento sanitario obbligatorio). Il giudice osserva che «il pericolo di vita per le pazienti fu causato da un complesso di condotte del tutto volontarie che integrano il colposo inadempimento degli obblighi assunti». E ancora: «Al di fuori di taluni casi eccezionali, la necessità del consenso si evince dall’articolo 13 della Costituzione che sancisce l’inviolabilità della libertà personale...». In ogni caso, «il trattamento sanitario obbligatorio per legge non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana», Costituzione alla mano.