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giovedì 25 agosto 2011

Palermo, prelievo multiorgano da donatrice testimone di Geova

Palermo, prelievo multiorgano da donatrice testimone di Geova

Palermo, 25 ago. - Prelievo di organi ieri agli Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo. I medici della Neuro rianimazione, diretta da Paolino Savatteri, hanno prelevato il fegato, i reni e le cornee da una paziente di 56 anni, D.E., testimone di Geova, ricoverata nel reparto di Neuro rianimazione dal 23 agosto per emorragia cerebrale. Dopo 6 ore di osservazione ne e' stata accertata la morte cerebrale ed e' iniziato il prelievo nella sala operatoria del centro prelievi del Trauma Center del nosocomio da parte degli anestesisti Paolino Savatteri, Innocenza Pernice, Antonino Pizzuto e gli infermieri Vita Apparia e Giuseppe Zaffuto. Il fegato sara' trapiantato dai chirurghi dell'Ismett, i reni sono stati donati all'ospedale Civico di Palermo e al policlinico di Catania mentre le cornee saranno custodite nella Banca delle Cornee degli Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello rimanendo cosi' nel circuito siciliano. La donatrice era testimone di Geova: da qui la particolarita' del prelievo multiorgano. Per i testimoni di Geova, infatti, la donazione e' questione di coscienza individuale fatto salvo che tutti gli organi e i tessuti devono essere completamente privi di sangue. Quello di ieri e' stato il quarto prelievo multiorgano effettuato nel 2011 su 9 osservazioni. L'anno scorso sono stati effettuati 6 prelievi su 15 osservazioni.

lunedì 22 agosto 2011

"Così abbiamo salvato nove vite in una settimana" "abbiamo già operato sette testimoni di Geova"

"Così abbiamo salvato nove vite in una settimana"

L'intervista al professor Filipponi sul record del centro Trapianti di fegato di Ferragosto

Medici (Foto Ansa)
Pisa, 19 agosto 2011 - UN FIORENTINO trapiantato a Pisa. E’ il professor Franco Filipponi che dirige il Centro trapianti di fegato dell’Azienda ospedaliera universitaria. Un centro da record: soltanto nella settimana di ferragosto ha eseguito ben nove operazioni che hanno ridato la vita ad altrettante persone.
Un’eccezione?
«Ogni tanto si creano grappoli di donatori. Una situazione simile si era verificata già nel 2008. Ma numeri alti si sono avuti anche l’anno successivo. L’andamento delle donazioni non è prevedibile. Fondamentale, dunque, è riuscire a sfruttare la disponibilità. Così il sistema dà ottimi risultati».
In un periodo di grande crisi, di tagli al settore e di ferie. Qual è il segreto?
«Organizzazione, ma anche consapevolezza che chi lavora in questa struttura, lo fa in un centro di eccellenza la cui storia è iniziata nel 1996, quando è arrivata l’autorizzazione al trapianto di fegato. Ci sono stati poi anni di alti e bassi dovuti proprio al flusso delle donazioni. Nel 2004, tutto è diventato più stabile grazie all’Organizzazione toscana trapianti».
Insomma, in mezzo a tanti casi di malasanità, l’eccellenza si fa notare.
«In effetti, l’Aoup è all’avanguardia e il centro, che è in grado di paragonarsi con l’Europa, meriterebbe maggiore attenzione».
Più attenzione dalla sanità regionale?
«Sì, perché il lavoro è impegnativo: la struttura non chiude mai, è aperta 24 ore su 24. Basti pensare che l’equipe che ha lavorato agli ultimi interventi tra personale medico, infermieristico e di supporto, è formata da oltre 100 persone. Tutte con una forte motivazione».
Lei è nato nella città del Rinascimento, si è formato a Parigi e oggi opera a Pisa. Come vede il rapporto tra le realtà toscane?
«Un po’ di campanilismo è inevitabile. Ma la Toscana ha una fortuna inestimabile. Gli anni ’90 erano caratterizzati dagli italiani che emigravano in cerca di un trapianto in Europa. Ora non è più così. Siamo un punto di riferimento extraregione: tant’è che i nostri pazienti arrivano per metà fuori dai confini regionali. Ma la collaborazione con tutte le aziende toscane è ottimale».
Già, i vostri ‘clienti’, chi sono?
«Per lo più uomini: la degenza media è di 15 giorni».
Quanto devono aspettare, prima?
«Quello pisano è il primo centro in Italia per i tempi di lista di attesa medi (4 mesi). Subito dopo, viene Torino con due mesi in più».
E i donatori?
«Sono quasi tutti toscani. La capacità di donazione delle nostre Rianimazioni è molto elevata: grazie ai nostri colleghi ma anche ai familiari di chi dona».
Com’è il presente del settore?
«Da 3-4 anni, i trapiantanti non ricevono sangue. Per questo, nell’ultimo bienno, abbiamo già operato sette testimoni di Geova».
Il futuro?
«Si guarda alle staminali del fegato, ma si tratta ancora di una speranza. Il trapianto da vivente, di fatto, è ancora eccezionale. L’obiettivo, al momento, è la compatibilità facendo sempre più attenzione alla difficilissima attività di selezione del donatore»

venerdì 5 agosto 2011

Testimone di Geova rifiuta farmaci, magistrato le da' l'assenso assenso


Testimone di Geova rifiuta farmaci, magistrato le da' l'assenso assenso

La donna, di 48 anni, ha gia' rifiutato tracheotomia e trasfusione

Chiede al giudice il permesso di non utilizzare, in caso di necessità, i farmaci e il magistrato l'accontenta. Protagonista della storia che sta suscitando clamore nel mondo sanitario e civile del Veneto una trevigiana di 48 anni, testimone di Geova, che dal giudice tutelare di Treviso Clarice di Tullio ha ricevuto il permesso, e con lei il marito, di non utilizzare farmaci salvavita. La paziente, come indica il Gazzettino, avrebbe già rifiutato tracheotomia e trasfusione, da quanto si è appreso, non sarebbe al momento in immediato pericolo di vita. Le sue disposizioni restano tuttavia chiare: "non voglio che la mia vita venga prolungata - avrebbe detto la donna - se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza".

E' ritenuto un decreto 'choc' quello firmato nel gennaio scorso dal giudice tutelare di Treviso Clarice di Tullio per permettere a una paziente di rifiutare le cure destinate alla sua grave malattia degenerativa. Il marito della donna è stato nominato amministratore di sostegno. Il decreto arriva in un momento in cui la legge sul biotestamento, già votato dalla Camera, è in dirittura d'arrivo. Se anche il Senato approverà il testo, la decisione del giudice di Treviso potrebbe essere ininfluente: la tutela della paziente sarebbe infatti solo ed esclusivamente del medico curante.

E' ritenuto un decreto 'choc' quello firmato nel gennaio scorso dal giudice tutelare di Treviso Clarice di Tullio per permettere a una paziente di rifiutare le cure destinate alla sua grave malattia degenerativa. Il marito della donna è stato nominato amministratore di sostegno. Il decreto arriva in un momento in cui la legge sul biotestamento, già votato dalla Camera, è in dirittura d'arrivo. Se anche il Senato approverà il testo, la decisione del giudice di Treviso potrebbe essere ininfluente: la tutela della paziente sarebbe infatti solo ed esclusivamente del medico curante.

BIOTESTAMENTO: ESPERTO, CASO DONNA TREVISO DIMOSTRA LEGGE URGE - Il caso della donna di Treviso testimone di Geova che ha ottenuto dal giudice un decreto che le permette di rifiutare le cure ed i farmaci salvavita destinati alla sua grave malattia degenerativa "rende evidente che una legge sul biotestamento è più che mai necessaria". A sottolinearlo è il bioeticista e membro del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) Francesco D'Agostino.

"Si rende evidente da un caso come questo - commenta l'esperto - che una legge è indispensabile, perché - spiega - non è possibile affidare ai magistrati, che possono legittimamente anche avere opinioni diverse sulla materia, la determinazione ultima di questioni che riguardano la vita umana". Inoltre, il decreto in questione, rileva D'Agostino, "che fa riferimento genericamente a 'farmaci salvavita', dimostra la delicatezza della questione dal momento che la categoria di tali farmaci non è così rigorosa, e dunque anche una semplice aspirina, in determinate condizioni, può diventare un farmaco salvavita". Secondo il bioeticista, dunque, "la verità è che quando questioni che riguardano la vita umana si intrecciano con valutazioni di carattere medico e farmacologico, è giusto che la legge affidi al medico l'assunzione delle decisioni". Per queste ragioni, ribadisce D'Agostino, "credo che una legge sulle situazioni di fine vita sia realmente indispensabile. L'importante - conclude - è fare in modo che non siano i giudici a stabilire criteri vincolanti in situazioni così delicate".

ansa.it