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lunedì 17 ottobre 2011
I testimoni di Geova restano a secco di contributi ad Arcore per malinteso legislativo
mercoledì 12 ottobre 2011
ASSEMBLEA DEI TESTIMONI DI GEOVA DEL FRIULI
ASSEMBLEA DEI TESTIMONI DI GEOVA DEL FRIULI
E’ stata indetta una assemblea locale dei testimoni di Geova del Friuli per i giorni di sabato 15 e domenica 16 ottobre 2011
Sono 18 le congregazioni di questo movimento cristiano che compongono la “Circoscrizione Friuli Venezia Giulia 3”, dalle cinque di Udine città, alle altre sparse in tutto il Friuli da Tarvisio a Codroipo. Oltre 1.400 membri attivi e molti interessati si riuniranno presso la Sala Assemblee di Treviso, che è dedicata alle riunioni del nord-est, in Via delle Maleviste a San Vitale di Canizzano.
I testimoni di Geova portano il nome di Dio come è menzionato nei testi antichi della Sacra Bibbia, ossia Geova o Jahve, e ci tengono molto a farlo conoscere. Il tema di questo convegno autunnale, dice il responsabile stampa della riunione, sarà “Sia santificato il tuo nome”, sulla base di quella che è considerata la “preghiera del Padre Nostro”, riportata nel vangelo di Matteo 6:9 che recita: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome”, e su quanto si legge nel profeta Isaia 43:10 “Voi siete i miei testimoni, dice Geova”, o Jahve secondo l’edizione cattolica di Mons. Garofalo.
Tutti gli interventi verteranno sull’importanza di far conoscere il nome di Dio e di avere una condotta che lo onori. Discorsi e dimostrazioni pratiche esorteranno ad essere attenti a non recare biasimo sul nome divino e aiuteranno a capire come e perchè i cristiani devono santificarlo. Particolare rilievo avrà la conferenza pubblica di domenica alle 13,30. L’oratore prenderà spunto dal pensiero scritturale di Rivelazione 16:14,16 (o Apocalisse) per sviluppare il tema: “Geova santificherà il suo grande nome ad Armaghedon”.
I testimoni di Geova colgono l'occasione per invitare il pubblico ad assistere a questa assemblea cristiana. Il programma si svolgerà negli orari di: sabato 9:40 – 16:00 e domenica 9:40 – 15:30. L'ingresso è libero e non si effettuano collette.
Ufficio Stampa Testimoni di Geova
Circoscrizione Friuli Venezia Giulia 3
Veno Canderan - Tel. 3332817083 - email: veno.canderan@alice.it
informazione.it
martedì 11 ottobre 2011
Assemblea dei Testimoni di Geova a Francavilla Angitola
Assemblea dei Testimoni di Geova a Francavilla Angitola
L’ingresso è libero e non si fanno collette. Questa assemblea fa parte dell’opera mondiale di istruzione biblica che i Testimoni di Geova compiono in oltre 236 paesi del mondo.
da vivienna.it
domenica 2 ottobre 2011
Testimoni di Geova in assemblea un crocevia di culture
Testimoni di Geova Assemblea crocevia cultureSono arrivati da tutta Italia, soprattutto dalle grandi città del nord. Etiopi ed eritrei, 200 in tutto, approdati a Imola per la prima assemblea nazionale dei Testimoni di Geova di lingua amarica e tigrina, gli idiomi parlati nelle due aree dell’Africa orientale.
Si sono aggiunti ai circa 1.700 italiani (bambini, giovani, adulti e anziani) che ieri mattina hanno affollato la ‘Sala delle assemblee’ di via Pastore per il loro annuale incontro di circoscrizione. Una due giorni dal titolo ‘Sia santificato il nome di Dio’ che ha vissuto uno dei suoi momenti più significativi nella cerimonia del battesimo dei nuovi adepti, che ha riguardato una dozzina di Testimoni di Geova. Tra di loro, anche un etiope. Engheda Scibesci ha 63 anni ed è arrivato apposta da Parma per battezzarsi assieme ai suoi fratelli di fede.
Anche per lui, accompagnato fino al bordo della piscina installata all’interno della struttura di via Pastore, l’immersione in acqua è totale. «Come appropriato simbolo della pubblica dichiarazione di appartenenza al popolo dei Testimoni di Geova», spiega il ministro del culto, Mario Maggi. A differenza del rito cattolico, infatti, in questa comunità il battesimo rappresenta una scelta «ponderata e individuale, non forzata, quindi incompatibile con l’usanza del battesimo dei neonati».Scene di gioia autentica nella sala imolese, tra genitori in lacrime, centinaia di flash impazziti e decine di schermi tv che hanno trasmesso in diretta il battesimo, andato in scena in una piccola saletta interna con annesso spogliatoio.
Tutto sotto l’occhio vigile degli uomini della sicurezza, impegnati a far entrare soltanto i parenti più stretti.«Da alcuni anni – racconta Massimiliano Caredda, papà di Davide, 11 anni, anche lui appena battezzato – diversi gruppi di Testimoni di Geova italiani delle regioni in cui è più forte la presenza di immigrati dell’Etiopia e dell’Eritrea hanno intrapreso lo studio delle lingue amarica e tigrina. Lo scopo è quello di condividere con questa gioiosa comunità la ricchezza degli insegnamenti biblici, rivolti a persone di ogni razza, cultura ed estrazione sociale. Questa unità fra le razze non è infatti semplice tolleranza superficiale, ma ha profonde radici nei sentimenti dei Testimoni. In un periodo in cui la presenza e l’inserimento nella società di cittadini extracomunitari nel nostro Paese è un argomento controverso e di scottante attualità, questo congresso offre un esempio di come l’applicazione dei principi biblici permetta di superare ogni barriera linguistica, razziale e sociale».A Imola i Testimoni di Geova italiani sono circa 600, divisi in due congregazioni. A questi si sommano i quasi 200 appartenenti ai gruppi in lingua spagnola, francese e rumena, il più numeroso dei tre. Anche l’organo ufficiale della comunità, ‘La torre di guardia’ è diffuso in città in circa 6.000 copie
ilrestodelcarlino.it
ilrestodelcarlino.it
giovedì 25 agosto 2011
Palermo, prelievo multiorgano da donatrice testimone di Geova
Palermo, prelievo multiorgano da donatrice testimone di Geova
Palermo, 25 ago. - Prelievo di organi ieri agli Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo. I medici della Neuro rianimazione, diretta da Paolino Savatteri, hanno prelevato il fegato, i reni e le cornee da una paziente di 56 anni, D.E., testimone di Geova, ricoverata nel reparto di Neuro rianimazione dal 23 agosto per emorragia cerebrale. Dopo 6 ore di osservazione ne e' stata accertata la morte cerebrale ed e' iniziato il prelievo nella sala operatoria del centro prelievi del Trauma Center del nosocomio da parte degli anestesisti Paolino Savatteri, Innocenza Pernice, Antonino Pizzuto e gli infermieri Vita Apparia e Giuseppe Zaffuto. Il fegato sara' trapiantato dai chirurghi dell'Ismett, i reni sono stati donati all'ospedale Civico di Palermo e al policlinico di Catania mentre le cornee saranno custodite nella Banca delle Cornee degli Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello rimanendo cosi' nel circuito siciliano. La donatrice era testimone di Geova: da qui la particolarita' del prelievo multiorgano. Per i testimoni di Geova, infatti, la donazione e' questione di coscienza individuale fatto salvo che tutti gli organi e i tessuti devono essere completamente privi di sangue. Quello di ieri e' stato il quarto prelievo multiorgano effettuato nel 2011 su 9 osservazioni. L'anno scorso sono stati effettuati 6 prelievi su 15 osservazioni.lunedì 22 agosto 2011
"Così abbiamo salvato nove vite in una settimana" "abbiamo già operato sette testimoni di Geova"
"Così abbiamo salvato nove vite in una settimana"
L'intervista al professor Filipponi sul record del centro Trapianti di fegato di Ferragosto

Un’eccezione?
«Ogni tanto si creano grappoli di donatori. Una situazione simile si era verificata già nel 2008. Ma numeri alti si sono avuti anche l’anno successivo. L’andamento delle donazioni non è prevedibile. Fondamentale, dunque, è riuscire a sfruttare la disponibilità. Così il sistema dà ottimi risultati».
In un periodo di grande crisi, di tagli al settore e di ferie. Qual è il segreto?
«Organizzazione, ma anche consapevolezza che chi lavora in questa struttura, lo fa in un centro di eccellenza la cui storia è iniziata nel 1996, quando è arrivata l’autorizzazione al trapianto di fegato. Ci sono stati poi anni di alti e bassi dovuti proprio al flusso delle donazioni. Nel 2004, tutto è diventato più stabile grazie all’Organizzazione toscana trapianti».
Insomma, in mezzo a tanti casi di malasanità, l’eccellenza si fa notare.
«In effetti, l’Aoup è all’avanguardia e il centro, che è in grado di paragonarsi con l’Europa, meriterebbe maggiore attenzione».
Più attenzione dalla sanità regionale?
«Sì, perché il lavoro è impegnativo: la struttura non chiude mai, è aperta 24 ore su 24. Basti pensare che l’equipe che ha lavorato agli ultimi interventi tra personale medico, infermieristico e di supporto, è formata da oltre 100 persone. Tutte con una forte motivazione».
Lei è nato nella città del Rinascimento, si è formato a Parigi e oggi opera a Pisa. Come vede il rapporto tra le realtà toscane?
«Un po’ di campanilismo è inevitabile. Ma la Toscana ha una fortuna inestimabile. Gli anni ’90 erano caratterizzati dagli italiani che emigravano in cerca di un trapianto in Europa. Ora non è più così. Siamo un punto di riferimento extraregione: tant’è che i nostri pazienti arrivano per metà fuori dai confini regionali. Ma la collaborazione con tutte le aziende toscane è ottimale».
Già, i vostri ‘clienti’, chi sono?
«Per lo più uomini: la degenza media è di 15 giorni».
Quanto devono aspettare, prima?
«Quello pisano è il primo centro in Italia per i tempi di lista di attesa medi (4 mesi). Subito dopo, viene Torino con due mesi in più».
E i donatori?
«Sono quasi tutti toscani. La capacità di donazione delle nostre Rianimazioni è molto elevata: grazie ai nostri colleghi ma anche ai familiari di chi dona».
Com’è il presente del settore?
«Da 3-4 anni, i trapiantanti non ricevono sangue. Per questo, nell’ultimo bienno, abbiamo già operato sette testimoni di Geova».
Il futuro?
«Si guarda alle staminali del fegato, ma si tratta ancora di una speranza. Il trapianto da vivente, di fatto, è ancora eccezionale. L’obiettivo, al momento, è la compatibilità facendo sempre più attenzione alla difficilissima attività di selezione del donatore»
venerdì 5 agosto 2011
Testimone di Geova rifiuta farmaci, magistrato le da' l'assenso assenso
Testimone di Geova rifiuta farmaci, magistrato le da' l'assenso assenso
La donna, di 48 anni, ha gia' rifiutato tracheotomia e trasfusione
Chiede al giudice il permesso di non utilizzare, in caso di necessità, i farmaci e il magistrato l'accontenta. Protagonista della storia che sta suscitando clamore nel mondo sanitario e civile del Veneto una trevigiana di 48 anni, testimone di Geova, che dal giudice tutelare di Treviso Clarice di Tullio ha ricevuto il permesso, e con lei il marito, di non utilizzare farmaci salvavita. La paziente, come indica il Gazzettino, avrebbe già rifiutato tracheotomia e trasfusione, da quanto si è appreso, non sarebbe al momento in immediato pericolo di vita. Le sue disposizioni restano tuttavia chiare: "non voglio che la mia vita venga prolungata - avrebbe detto la donna - se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza".E' ritenuto un decreto 'choc' quello firmato nel gennaio scorso dal giudice tutelare di Treviso Clarice di Tullio per permettere a una paziente di rifiutare le cure destinate alla sua grave malattia degenerativa. Il marito della donna è stato nominato amministratore di sostegno. Il decreto arriva in un momento in cui la legge sul biotestamento, già votato dalla Camera, è in dirittura d'arrivo. Se anche il Senato approverà il testo, la decisione del giudice di Treviso potrebbe essere ininfluente: la tutela della paziente sarebbe infatti solo ed esclusivamente del medico curante.
E' ritenuto un decreto 'choc' quello firmato nel gennaio scorso dal giudice tutelare di Treviso Clarice di Tullio per permettere a una paziente di rifiutare le cure destinate alla sua grave malattia degenerativa. Il marito della donna è stato nominato amministratore di sostegno. Il decreto arriva in un momento in cui la legge sul biotestamento, già votato dalla Camera, è in dirittura d'arrivo. Se anche il Senato approverà il testo, la decisione del giudice di Treviso potrebbe essere ininfluente: la tutela della paziente sarebbe infatti solo ed esclusivamente del medico curante.
BIOTESTAMENTO: ESPERTO, CASO DONNA TREVISO DIMOSTRA LEGGE URGE - Il caso della donna di Treviso testimone di Geova che ha ottenuto dal giudice un decreto che le permette di rifiutare le cure ed i farmaci salvavita destinati alla sua grave malattia degenerativa "rende evidente che una legge sul biotestamento è più che mai necessaria". A sottolinearlo è il bioeticista e membro del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) Francesco D'Agostino.
"Si rende evidente da un caso come questo - commenta l'esperto - che una legge è indispensabile, perché - spiega - non è possibile affidare ai magistrati, che possono legittimamente anche avere opinioni diverse sulla materia, la determinazione ultima di questioni che riguardano la vita umana". Inoltre, il decreto in questione, rileva D'Agostino, "che fa riferimento genericamente a 'farmaci salvavita', dimostra la delicatezza della questione dal momento che la categoria di tali farmaci non è così rigorosa, e dunque anche una semplice aspirina, in determinate condizioni, può diventare un farmaco salvavita". Secondo il bioeticista, dunque, "la verità è che quando questioni che riguardano la vita umana si intrecciano con valutazioni di carattere medico e farmacologico, è giusto che la legge affidi al medico l'assunzione delle decisioni". Per queste ragioni, ribadisce D'Agostino, "credo che una legge sulle situazioni di fine vita sia realmente indispensabile. L'importante - conclude - è fare in modo che non siano i giudici a stabilire criteri vincolanti in situazioni così delicate".
ansa.it
sabato 9 luglio 2011
RUSSIA Nazionalisti ortodossi tentano di impedire il congresso dei Testimoni di Geova - Asia News
RUSSIA Nazionalisti ortodossi tentano di impedire il congresso dei Testimoni di Geova - Asia News: "Nazionalisti ortodossi tentano di impedire il congresso dei Testimoni di Geova
L’evento dovrebbe svolgersi questo fine settimana, ma l’organizzazione ‘Consiglio del popolo’ chiede al procuratore generale di verificarne la legalità: “I TdG sono una setta pericolosa e violano la legge”.
Mosca (AsiaNews) – Gli attivisti ortodossi del movimento nazionalista ‘Consiglio del popolo’ stanno cercando di impedire lo svolgimento di un grande congresso nazionale dei Testimoni di Geova (TdG), in programma dall’8 al 10 luglio a Mosca. Secondo quanto reso noto dalle agenzie russe, l’organizzazione - che in russo si chiama ‘Narodny Sobor’ - ha chiesto alle autorità giudiziarie di verificare la legalità dell’evento e impedire “violazioni della legge federale”, come si legge in un comunicato indirizzato al procuratore generale e diffuso da Interfax.
Il congresso dei Testimoni di Geova, secondo quanto riporta il quotidiano Nezavizimaya Gazeta, dovrebbe tenersi questo fine settimana al Crocus Expo, grande spazio per eventi di massa poco fuori la capitale russa e che dovrebbe ospitare oltre 9mila fedeli. Secondo i nazionalisti ortodossi, i TdG “non hanno chiesto i permessi necessari per organizzare e tenere una cerimonia religiosa pubblica… violando così la legge sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose”, continua il comunicato.
Il Narodny Sobor – le cui accuse in passato hanno portato alla condanna degli organizzatori della mostra ritenuta blasfema ‘Arte proibita-2006’ - sottolinea che i TdG sono “una delle più pericolose sette in Russia” e che su di loro pendono diversi casi penali e civili. Per sette o culti distruttivi in Russia spesso si intendono molte delle realtà religiose non classificabili tra confessioni e denominazioni tradizionali o per lo più non gradite a autorità politiche e ortodosse. Dal 2004 i Testimoni di Geova sono particolarmente nel mirino, oggetto di una vera e propria persecuzione, che i responsabili della comunità paragonano a quella subita in epoca staliniana. Diversi tribunali russi hanno proibito molte loro pubblicazioni e messo fuorilegge le loro attività. Aggressioni e atti vandalici contro la comunità sono sempre più frequenti. All’organizzazione viene inoltre imputata “la violazione dei diritti delle persone non credenti” attraverso “tentativi di entrare nelle loro residenze per pregare e compiere attività di evangelizzazione aggressive”.
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L’evento dovrebbe svolgersi questo fine settimana, ma l’organizzazione ‘Consiglio del popolo’ chiede al procuratore generale di verificarne la legalità: “I TdG sono una setta pericolosa e violano la legge”.
Mosca (AsiaNews) – Gli attivisti ortodossi del movimento nazionalista ‘Consiglio del popolo’ stanno cercando di impedire lo svolgimento di un grande congresso nazionale dei Testimoni di Geova (TdG), in programma dall’8 al 10 luglio a Mosca. Secondo quanto reso noto dalle agenzie russe, l’organizzazione - che in russo si chiama ‘Narodny Sobor’ - ha chiesto alle autorità giudiziarie di verificare la legalità dell’evento e impedire “violazioni della legge federale”, come si legge in un comunicato indirizzato al procuratore generale e diffuso da Interfax.
Il congresso dei Testimoni di Geova, secondo quanto riporta il quotidiano Nezavizimaya Gazeta, dovrebbe tenersi questo fine settimana al Crocus Expo, grande spazio per eventi di massa poco fuori la capitale russa e che dovrebbe ospitare oltre 9mila fedeli. Secondo i nazionalisti ortodossi, i TdG “non hanno chiesto i permessi necessari per organizzare e tenere una cerimonia religiosa pubblica… violando così la legge sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose”, continua il comunicato.
Il Narodny Sobor – le cui accuse in passato hanno portato alla condanna degli organizzatori della mostra ritenuta blasfema ‘Arte proibita-2006’ - sottolinea che i TdG sono “una delle più pericolose sette in Russia” e che su di loro pendono diversi casi penali e civili. Per sette o culti distruttivi in Russia spesso si intendono molte delle realtà religiose non classificabili tra confessioni e denominazioni tradizionali o per lo più non gradite a autorità politiche e ortodosse. Dal 2004 i Testimoni di Geova sono particolarmente nel mirino, oggetto di una vera e propria persecuzione, che i responsabili della comunità paragonano a quella subita in epoca staliniana. Diversi tribunali russi hanno proibito molte loro pubblicazioni e messo fuorilegge le loro attività. Aggressioni e atti vandalici contro la comunità sono sempre più frequenti. All’organizzazione viene inoltre imputata “la violazione dei diritti delle persone non credenti” attraverso “tentativi di entrare nelle loro residenze per pregare e compiere attività di evangelizzazione aggressive”.
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martedì 17 maggio 2011
Il Giorno - Sesto Cinisello - La medicina "senza sangue" salva un Testimone di Geova
Il Giorno - Sesto Cinisello - La medicina "senza sangue" salva un Testimone di Geova
La medicina "senza sangue"
Cinisello Balsamo, 17 maggio 2011 - La comunità milanese dei Testimoni
di Geova grida al miracolo o quasi. Il professor Guido Raffaele Strada,
tiene più i piedi per terra e premia con soddisfazione il lavoro di
squadra della sua équipe. Quel che è certo è che nei giorni scorsi nelle
sale operatorie dell’ospedale Bassini di Cinisello si è compiuto un
piccolo capolavoro della chirurgia.
L’équipe di Guido Raffaele Strada, primario cinisellese dell’Unità operativa di Urologia, è intervenuto su Michele Feraru, un paziente di 58 anni di origine romena, con gravi problemi ai reni e alla vena cava, realizzando un’operazione chirurgica «a vene aperte», senza prevedere cioé alcuna trasfusione sanguigna.
Tecnicamente l’intervento ha un nome quasi impronunciabile: nefrectomia radicale, linfoadenectomia retroperitoniale, trombectomia cavale fino a vene sottoepatiche. In pratica si è intervenuto per eliminare una massa tra i reni e la vena cava e per eseguire una pulizia della stessa vena ostruita.
Un’operazione delicata, che in un paziente normale sarebbe stata quasi di routine, ma che in questo caso è diventata di assoluta eccellenza, perché il paziente è un Testimone di Geova e come tale non avrebbe acconsentito ad alcuna trasfusione. I medici del Bassini lo hanno preso in carico con largo anticipo sui tempi dell’intervento, predisponendo un percorso ad hoc che solamente in pochissime strutture sanitarie italiane viene messo in atto.
L’ospedale Bassini è da circa 6 anni uno dei 3 ospedali italiani «senza sangue», ossia in grado di eseguire operazioni chirurgiche che evitino le trasfusioni. «Non ci si inventa nulla — spiega il professor Strada —. L’ospedale Bassini è forse l’unico in Italia che ha stilato uno speciale protocollo dedicato alla chirurgia senza sangue. Sono descritti i passi da compiere prima di intervenire e durante le operazioni. Nulla è lasciato al caso. Il paziente viene sottoposto a una serie di terapie preventive che servono a condurlo al giorno dell’operazione nelle condizioni fisiche ottimali e con sangue molto ricco di globuli rossi».
Alla fine dell’operazione, il paziente 58enne, aveva perso solamente 250 centilitri di sangue, poco di più di un normale prelievo. In sala operatoria, insieme al professor Strada erano presenti Paolo Vigano, Luigi Erba, l’anestesista Paolo Malsano e i suoi collaboratori.
«L’ospedale Bassini ha il merito assoluto di aver creduto in questa speciale chirurgia e di aver stilato un protocollo unico e inedito in Italia — conferma Carlo Benincasa, responsabile regionale per i temi sanitari dei Testimoni di Geova —. Tuttavia al primo posto c’è la preparazione dei medici. Perché non tutti i medici sarebbero disponibili a mettersi in gioco su interventi così delicati. Al Bassini tutti gli operatori sanitari sono informati e praticano con assoluta sicurezza questo tipo di interventi».
La medicina "senza sangue"
salva un Testimone di Geova
Il
Bassini è uno dei tre ospedali in Italia in cui si pratica la tecnica
sperimentale "a vene aperte", che consente di eseguire operazioni
chirurgiche senza trasfusioni. Così si è salvato un Testimone di Geova

intervento chirurgico (Digitalfoto)
L’équipe di Guido Raffaele Strada, primario cinisellese dell’Unità operativa di Urologia, è intervenuto su Michele Feraru, un paziente di 58 anni di origine romena, con gravi problemi ai reni e alla vena cava, realizzando un’operazione chirurgica «a vene aperte», senza prevedere cioé alcuna trasfusione sanguigna.
Tecnicamente l’intervento ha un nome quasi impronunciabile: nefrectomia radicale, linfoadenectomia retroperitoniale, trombectomia cavale fino a vene sottoepatiche. In pratica si è intervenuto per eliminare una massa tra i reni e la vena cava e per eseguire una pulizia della stessa vena ostruita.
Un’operazione delicata, che in un paziente normale sarebbe stata quasi di routine, ma che in questo caso è diventata di assoluta eccellenza, perché il paziente è un Testimone di Geova e come tale non avrebbe acconsentito ad alcuna trasfusione. I medici del Bassini lo hanno preso in carico con largo anticipo sui tempi dell’intervento, predisponendo un percorso ad hoc che solamente in pochissime strutture sanitarie italiane viene messo in atto.
L’ospedale Bassini è da circa 6 anni uno dei 3 ospedali italiani «senza sangue», ossia in grado di eseguire operazioni chirurgiche che evitino le trasfusioni. «Non ci si inventa nulla — spiega il professor Strada —. L’ospedale Bassini è forse l’unico in Italia che ha stilato uno speciale protocollo dedicato alla chirurgia senza sangue. Sono descritti i passi da compiere prima di intervenire e durante le operazioni. Nulla è lasciato al caso. Il paziente viene sottoposto a una serie di terapie preventive che servono a condurlo al giorno dell’operazione nelle condizioni fisiche ottimali e con sangue molto ricco di globuli rossi».
Alla fine dell’operazione, il paziente 58enne, aveva perso solamente 250 centilitri di sangue, poco di più di un normale prelievo. In sala operatoria, insieme al professor Strada erano presenti Paolo Vigano, Luigi Erba, l’anestesista Paolo Malsano e i suoi collaboratori.
«L’ospedale Bassini ha il merito assoluto di aver creduto in questa speciale chirurgia e di aver stilato un protocollo unico e inedito in Italia — conferma Carlo Benincasa, responsabile regionale per i temi sanitari dei Testimoni di Geova —. Tuttavia al primo posto c’è la preparazione dei medici. Perché non tutti i medici sarebbero disponibili a mettersi in gioco su interventi così delicati. Al Bassini tutti gli operatori sanitari sono informati e praticano con assoluta sicurezza questo tipo di interventi».
venerdì 13 maggio 2011
Due testimoni di Geova risarcite per le trasfusioni- LASTAMPA.it
Due testimoni di Geova risarcite per le trasfusioni- LASTAMPA.it
Due testimoni di Geova
Riconosciuto per la prima volta
Deve riconoscersi il danno non patrimoniale
consistente nelle ripercussioni che il non voluto trattamento sanitario
ha prodotto nella sfera personale, nella vita sociale e familiare, nella
coscienza religliosa delle signore». Due testimoni di Geova si
sottoposero ad intervento di isterectomia alla clinica Villa Maria Pia
perché là operava il dottor Salvatore Martelli, segnalato dal Comitato
di assistenza sanitaria dei Testimoni di Geova «quale medico rispettoso
delle loro scelte religiose». Entrambe le donne espressero chiaramente
la volontà di non essere sottoposte a trasfusioni di sangue, il dottore
le rassicurò. Poi le cose andarono diversamente. Dopo la prima
operazione, si ricorse ad una seconda per entrambe - le pazienti erano
in pericolo di vita - e vennero trattate con ripetute emotrasfusioni. Il
giudice civile Marco Ciccarelli ha condannato medico e casa di cura,
chiamando in cause le rispettive assicurazioni, a pagar loro
rispettivamente 36.870 e 38.960 euro. L’avvocato Renato Mattarelli,
legale delle pazienti: «E’ la prima volta che in Italia si riconosce il
danno per il mancato rispetto della libertà religiosa oltre che
sanitaria».
Il caso - del gennaio 2005 - è complicato non solo perché investe principi oggi oggetto di furibonde dispute ideologiche: le due testimoni di Geova scelgono quel medico e quella casa di cura perché si sentono rassicurate, l’intervento di rimozione parziale e totale (per una delle due) dell’utero è tutt’altro che semplice, lo era ancora meno per quelle pazienti con «un’accentuata anemia evidenziata dalle analisi eseguite il giorno del ricovero». Il dottor Martelli non avrebbe dovuto escludere il ricorso a trasfusioni di sangue.
Il giudice evidenzia gravi negligenze commesse ai danni delle pazienti durante la prima operazione e dopo di fronte a «complicanze, manifestatesi in entrambe il mattino successivo». A seguito delle quali, vennero sottoposte a operazione di «revisione chirurgica» e a «emotrasfusioni clandestine», registra il magistrato. Mentre le signore, poco prima, pur coscienti di trovarsi in pericolo di vita, avevano ribadito il loro rifiuto. Il dottor Ciccarelli prende atto che c’era stato un accordo e che fu disatteso. E va oltre: «L’astratta esistenza di un diritto a rifiutare le cure è del tutto pacifica, trattandosi di un diritto costituzionalmente riconosciuto.... Ritiene questo giudice che non possano sussistere seri dubbi sul fatto che, al momento in cui vennero trasfuse, le signore non intendevano sottoporsi a un simile trattamento».
Medico e casa di cura hanno invocato lo stato di necessità (ricordano la telefonata ad un pm per essere autorizzati al trattamento sanitario obbligatorio). Il giudice osserva che «il pericolo di vita per le pazienti fu causato da un complesso di condotte del tutto volontarie che integrano il colposo inadempimento degli obblighi assunti». E ancora: «Al di fuori di taluni casi eccezionali, la necessità del consenso si evince dall’articolo 13 della Costituzione che sancisce l’inviolabilità della libertà personale...». In ogni caso, «il trattamento sanitario obbligatorio per legge non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana», Costituzione alla mano.
Due testimoni di Geova
risarcite per le trasfusioni

Riconosciuto per la prima volta
il mancato rispetto delle scelte religiose
Deve riconoscersi il danno non patrimoniale
consistente nelle ripercussioni che il non voluto trattamento sanitario
ha prodotto nella sfera personale, nella vita sociale e familiare, nella
coscienza religliosa delle signore». Due testimoni di Geova si
sottoposero ad intervento di isterectomia alla clinica Villa Maria Pia
perché là operava il dottor Salvatore Martelli, segnalato dal Comitato
di assistenza sanitaria dei Testimoni di Geova «quale medico rispettoso
delle loro scelte religiose». Entrambe le donne espressero chiaramente
la volontà di non essere sottoposte a trasfusioni di sangue, il dottore
le rassicurò. Poi le cose andarono diversamente. Dopo la prima
operazione, si ricorse ad una seconda per entrambe - le pazienti erano
in pericolo di vita - e vennero trattate con ripetute emotrasfusioni. Il
giudice civile Marco Ciccarelli ha condannato medico e casa di cura,
chiamando in cause le rispettive assicurazioni, a pagar loro
rispettivamente 36.870 e 38.960 euro. L’avvocato Renato Mattarelli,
legale delle pazienti: «E’ la prima volta che in Italia si riconosce il
danno per il mancato rispetto della libertà religiosa oltre che
sanitaria». Il caso - del gennaio 2005 - è complicato non solo perché investe principi oggi oggetto di furibonde dispute ideologiche: le due testimoni di Geova scelgono quel medico e quella casa di cura perché si sentono rassicurate, l’intervento di rimozione parziale e totale (per una delle due) dell’utero è tutt’altro che semplice, lo era ancora meno per quelle pazienti con «un’accentuata anemia evidenziata dalle analisi eseguite il giorno del ricovero». Il dottor Martelli non avrebbe dovuto escludere il ricorso a trasfusioni di sangue.
Il giudice evidenzia gravi negligenze commesse ai danni delle pazienti durante la prima operazione e dopo di fronte a «complicanze, manifestatesi in entrambe il mattino successivo». A seguito delle quali, vennero sottoposte a operazione di «revisione chirurgica» e a «emotrasfusioni clandestine», registra il magistrato. Mentre le signore, poco prima, pur coscienti di trovarsi in pericolo di vita, avevano ribadito il loro rifiuto. Il dottor Ciccarelli prende atto che c’era stato un accordo e che fu disatteso. E va oltre: «L’astratta esistenza di un diritto a rifiutare le cure è del tutto pacifica, trattandosi di un diritto costituzionalmente riconosciuto.... Ritiene questo giudice che non possano sussistere seri dubbi sul fatto che, al momento in cui vennero trasfuse, le signore non intendevano sottoporsi a un simile trattamento».
Medico e casa di cura hanno invocato lo stato di necessità (ricordano la telefonata ad un pm per essere autorizzati al trattamento sanitario obbligatorio). Il giudice osserva che «il pericolo di vita per le pazienti fu causato da un complesso di condotte del tutto volontarie che integrano il colposo inadempimento degli obblighi assunti». E ancora: «Al di fuori di taluni casi eccezionali, la necessità del consenso si evince dall’articolo 13 della Costituzione che sancisce l’inviolabilità della libertà personale...». In ogni caso, «il trattamento sanitario obbligatorio per legge non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana», Costituzione alla mano.
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